A quanti di noi, incuriositi dallo statuto di classico scomodo della letteratura novecentesca, di libro controverso e complesso, è capitato di leggere Lolita di Nabokov?
A Teheran la docente di letteratura inglese Azar Nafisi, allontanata dall’università perché non in linea con i dettami imposti dal regime di Khomeini, lo ha letto clandestinamente con alcune studentesse nel salotto di casa sua e in seguito ha pubblicato Reading Lolita in Theran, nel 2004 tradotto in Italia da Adelphi.
Nel suo nuovo libro, Luciano Manicardi si interroga sulla potenza dell’esperimento ermeneutico di quel gruppo di donne iraniane anche alla luce delle notizie che ci raggiungono e scuotono oggi, a una ventina d’anni di distanza dalla pubblicazione del libro. Nella particolare rilettura a Teheran di Lolita Luciano scova una rivelazione universale, lì evidente e dirompente, per noi lettori occidentali più inabissata, ma non meno significativa.
Lolita nella sua polisemia è anche e soprattutto la storia di un abuso di potere, è la confisca della libertà di un individuo da parte di un altro, è lo scandaglio di un qualcosa di cui, a tutte le latitudini, il mondo non si è mai potuto dire immune.
Luciano Manicardi (Campagnola Emilia, 1957), biblista, monaco di Bose dal 1980, priore dal 2017 al 2022, collabora con varie riviste di argomento biblico e spirituale. È autore di numerosi testi, l’ultimo dei quali, “La passione per l’umano”, è stato pubblicato da Vita e Pensiero (2023). Nel 2016 per Molte Fedi ha scritto, con Roberto Mancini, “Nascere di nuovo” (Edizioni Gruppo Aeper).
Qui di seguito un estratto della recensione di Giulio Brotti de l'Eco di Bergamo.
«Nell’autunno del 1995, dopo aver dato le dimissioni dal mio ultimo incarico accademico, decisi di farmi un regalo e realizzare un sogno. Chiesi alle sette migliori studentesse che avevo di venire a casa mia il giovedì mattina per parlare di letteratura. Erano tutte ragazze, dato che, per quanto si trattasse di innocui romanzi, insegnare a una classe mista in casa propria sarebbe stato troppo rischioso».
Otto anni dopo, avendo ormai da tempo lasciato l’Iran per gli Stati Uniti, Azar Nafisi raccontò quell’esperienza semiclandestina di incontri tra donne in «Leggere Lolita a Teheran», dove il riferimento allo «scandaloso» romanzo di Vladimir Nabokov stava a simboleggiare la volontà di liberarsi – almeno interiormente, ricorrendo appunto alla grande letteratura - dalla bigotteria e dall’oscurantismo degli ayatollah.
Ha invece per titolo «Donna, libro, libertà», un volume di Luciano Manicardi appena pubblicato nella collana delle Acli «I Libri di Moltefedi». Biblista e monaco della Comunità di Bose, di cui è stato anche priore, Manicardi conduce in queste sue pagine una sorta di doppio confronto con i testi della Nafisi e di Nabokov: lo scopo è quello di approfondire ulteriormente l’analisi sul potere di emancipazione della lettura, ma anche di evidenziare i motivi per cui qualsiasi governo «teocratico» - non solo il regime al potere in Iran dall’epoca della rivoluzione khomeinista – è tipicamente portato a violare sia i diritti delle donne, sia la libertà di pubblicare e di leggere.