Venti rose per venti bimbi

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SBIRCIARE LA BELLEZZA                                                                               

di Rosella Ferrari

Riprendono i nostri appuntamenti alla scoperta di luoghi o particolari che magari non conosciamo benissimo.
La nostra splendida città ne è ricca e scoprirli è sempre un piacere e un’emozione.
Quindi ripartiamo alla ricerca di “tesori”, più o meno nascosti, attraverso i quali potremo magari riscoprire pezzi della nostra storia.

E succederà anche che, davanti a un particolare magari piccolo, ci rendiamo conto di essere davanti alla bellezza…

20 ROSE PER VENTI BIMBI

Io non so se quella che vi propongo oggi è “bellezza”. Non lo so.

Siamo davanti a Palazzo Frizzoni, che dal 28 ottobre 1933 è sede del Comune di Bergamo.
Il palazzo, voluto da Antonio Frizzoni e progettato dall’architetto Vantini (uno dei maggiori architetti neoclassici del tempo), sorse tra il 1836 e il 1841 nell’area che precedentemente ospitava due diversi conventi, ciascuno con annesso un ospedale: quello di Santa Lucia e quello di S. Antonio di Vienne.
Entrambi erano stati posti in vendita dopo le requisizioni di chiese e conventi ad opera dei francesi, a partire dal 1798.

I Frizzoni erano immigrati dalla Svizzera, come altre famiglie storiche, per impiantare qui i loro stabilimenti, soprattutto tessili.
Antonio, giunto a Bergamo giovanissimo, fece fortuna e nel  1817 acquistò fabbricati e terreni degli antichi monasteri soppressi.
Sarà il figlio, Antonio Jr., a realizzare il sogno del padre, facendo costruire il palazzo di famiglia proprio nel cuore della nuova città che stava nascendo nella piana, al di fuori dalle mura veneziane ma all’interno delle Muraine.

Il palazzo, del quale il progettista curò anche gli arredi e le decorazioni interne, è un importante esempio di neoclassicismo.
Di forma quadrata, ha la facciata che presenta al piano terra un grande portone e dieci finestre ad arco a tutto sesto; al piano nobile sei finestre e cinque porte-finestre, tutte divise da lesene corinzie.
Le porte finestre, con timpani triangolari, si aprono su un grande balcone centrale e su due più piccoli laterali.
La facciata si conclude con un ulteriore piano, sul quale si aprono undici finestre più piccole e semplici, e infine con un marcapiano piatto con tratti balaustrati.

Dal portone si accede a un androne che dà su un elegante porticato con colonne ioniche e soffitto a cassettoni, al di là del quale troviamo la corte interna che dà accesso ai giardini.
Un tempo i giardini di Palazzo Frizzoni avevano un’estensione molto ampia; nel 1876 Antonio Jr nel suo testamento lasciò parte del terreno alla Comunità Evangelica bergamasca perché vi potesse edificare il primo Tempio Evangelico.

Nel 1927 Enrico Frizzoni rilevò dai fratelli la proprietà dell’intero palazzo e pochi mesi dopo inserì nel proprio testamento la proposta di cedere al Comune di Bergamo il palazzo e le sue pertinenze purché divenisse la Casa Comunale.
Dopo i necessari lavori di adattamento e qualche traversia, il 13 marzo 1928 il Comune divenne unico proprietario del palazzo: tra le righe dell’accordo firmato dall’ing. Frizzoni e dal Sindaco risalta una condizione: il palazzo dovrà sempre mantenere il titolo di “Palazzo Frizzoni”, in memoria della storica, munifica famiglia.

Dopo questa - credo necessaria – premessa, torniamo alla nostra meta di oggi.
Per raggiungerla dobbiamo attraversare il cortile e entrare nel giardino, che oggi è un parco pubblico.
Non del tutto pubblico, infatti l’accesso è consentito solo ai bambini coi loro accompagnatori.
Se non avete con voi un bambino, non entrate… questo è il loro giardino.

Per noi è stata fatta un’eccezione e così oggi possiamo entrare nel giardino, pieno di bimbi che giocano allegramente.
Ci avviamo verso destra, dove una cancellata separa il giardino dalla via Francesco Crispi e ci troviamo davanti ad un’aiuola di fiori bianchi, circondata da 20 piante di rose, oggi non ancora fiorite.

Lì accanto, questo cartello:

Questa aiuola è la nostra meta di oggi.
Nel 2007 il Comune di Bergamo decise di ricordare il giorno della Memoria facendo affiggere delle lapidi nei luoghi significativi della città per ricordare la Shoah.
Spesso non pensiamo – non vogliamo pensare – che anche i bambini, tanti, troppi furono portati nei lager e che moltissimi di loro vi morirono.
Così, il Comune decise di ricordarli tutti ponendo un segno a ricordo dei  venti “bambini di  Neuengamme.

Quando si parla della Shoah, ogni parola è straziante.
In questo caso ogni parola è difficile da pensare, da scrivere, da dire, da ascoltare.
Sono parole che straziano e pesano come macigni.
Nel novembre del 1944, il dr. Mengele (conosciuto come Dottor Morte) si recò nella baracca 11 di Birkenau, quella riservata ai bambini, e disse loro: “Chi vuole vedere la mamma faccia un passo avanti”.
I bambini si precipitarono intorno a lui e, dopo averli esaminati, ne scelse venti: dieci maschi e dieci femmine, di età compresa fra i 5 e i 12 anni.
Il 27 novembre i venti bambini  furono portati alla stazione ferroviaria di Auschwitz e inviati in Germania, nel campo di Neuengamme, sobborgo di Amburgo, dove il  dottor Kurt Heissmeyer effettuò su di loro esperimenti terribili dei quali preferisco non parlare.

Dopo cinque lunghi mesi, ormai consapevoli dell’arrivo delle truppe alleate che stavano liberando i campi di sterminio, i nazisti presero una decisione: il 20 aprile 1945 i venti bambini e i quattro detenuti adulti che li avevano assistiti nel campo di concentramento vengono portati nello scantinato di una scuola di Amburgo, la scuola di Bullenhuser Damm, campo esterno del campo di Neuengamme.
Gli adulti vengono impiccati; ai bambini viene fatta un’iniezione di morfina per stordirli e poi furono impiccati anch'essi.  

Questi bambini si chiamavano  George, Jacqueline, Eduardo, Alexander, Walter, Roman, Lelka, Bluna, Edouard, Ruchla, Lea, Surcis, Riwka, Marek, Marck, Roman, Eleonora.
Di uno sappiamo solo l’iniziale del nome: H., mentre di uno non sappiamo nulla. 
L’ultimo che voglio citare è Simone, un bimbo italiano di 7 anni, cuginetto di Andra e Tatiana Bucci.

Le rose bianche che ogni anno fioriscono attorno a questa aiuola sono la nostra carezza per loro, così come i fiori bianchi che per tutto l’anno ci ricordano i loro nomi e le loro storie, insieme ai volti dei tantissimi bambini morti nei campi solo perché ebrei.

Quando stavo per lasciare, con un ultimo pensiero, questo luogo, ho visto arrivare una piccolina con una scatoletta di gessetti colorati.
Si è accovacciata davanti all’aiuola e ha cominciato a colorare il cordolo con i suoi gessetti.

Ecco, forse questa può essere la “bellezza”, oggi.

Una bimba che colora, senza saperlo, per altri bimbi come lei. E ci regala un arcobaleno di tenerezza.  


 


Fotografie di Rosella Ferrari.