Il turismo sostenibile del “Palestinian Heritage Trail”
L’idea di fondo è quella, sempre più diffusa, di un lungo cammino nella natura, nella storia e nella cultura locale. Alla fine il “Palestinian Heritage Trail” collegherà Jenin a Hebron, attraversando per circa 500 chilometri da nord a sud i Territori Palestinesi, dei quali punta a svelare le tradizioni e a promuovere le bellezze.
Ultimo ad essere aggiunto il tratto di 60 chilometri nel nord-ovest del governatorato di Hebron, in corso di completamento grazie al progetto CROSSDEV finanziato dall’Unione Europea, coordinato dal CISP – il Comitato Internazionale per lo Sviluppo dei Popoli – e gestito in partnership con l’ong palestinese che porta il nome del sentiero.
L’obiettivo è attrarre turisti dall’estero ma anche coinvolgere la comunità locale, perché a conoscere poco questi posti non sono solo gli stranieri.
A dominare il panorama sono decine di piccoli villaggi, a maggioranza musulmana, sparsi sulle colline. Centri abitati poco conosciuti della campagna come Karas, Betoula, Tarqoumia, Idna, Betawa.
Da Surif viene il “maltout”, una particolare focaccia che Hadeel distribuisce mentre, in mezzo ad un prato, scalda il tè sul fuoco. “L’ingrediente principale è l’olio – spiega -, che viene direttamente dagli ulivi del nostro villaggio: un olio buono, saporito e sano. E poi c’è la farina, che viene dal grano coltivato in questa buonissima terra. La sfida maggiore per noi? Il muro di separazione, che ci ha privato di molta della nostra terra e dei nostri ulivi. Oggi dobbiamo chiedere un permesso persino per prenderci cura di quelli che ci sono rimasti”.
Il turismo sostenibile promosso lungo il “Palestinian Heritage Trail” cerca di rendere accessibili i prodotti locali, e spesso a prendere le migliori iniziative sono le donne: Muntaha nel suo “Mamoura Soap shop” di Beit Awwa offre saponi biologici fatti a mano con erbe della zona, mentre alla sede del “Beit Ula Women’s club” guidato da Hanan si possono trovare cibo e tessuti tipici, oltre ad una piccola guesthouse appena terminata.
E poi c’è Ishaq, cresciuto a fare il pastore nel deserto del Neghev e costretto a riparare nel suo villaggio natale dopo la guerra del 1948, che a Der Samit ha addirittura aperto un museo con attrezzi e oggetti utilizzati da due generazioni prima di lui. Ha le idee chiare su quale sia il cuore della cultura palestinese. “Tutto dipendeva dall’agricoltura qui – racconta - Abbiamo sempre lavorato la terra e mangiato ciò che essa ci offriva. Perciò per me sono gli attrezzi legati alla terra quelli che raccontano meglio la nostra tradizione palestinese”.
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Tra gli ultimi servizi pubblicati dal Christian Media Center, la fine dei restauri alla chiesa dell’Arcangelo Gabriele ad Al-Mujaydel, vicino a Nazareth: i fedeli arabi che erano presenti all’inaugurazione fanno soprattutto parte delle famiglie esiliate da questo villaggio, rimasto spopolato dalla guerra del 1948. E poi la festa di Maria Maddalena a Magdala, sulle rive del Lago di Galilea: crocevia di scambi nella regione in cui si concentrò la predicazione di Gesù, fu un villaggio ebraico importante anche dal punto di vista culturale ed economico.
Raccontare la Terra Santa… dalla Terra Santa è l’obiettivo del Christian Media Center, il centro di produzione video della Custodia di Terra Santa - la provincia francescana che si estende tra Israele, Territori Palestinesi, Giordania, Libano, Siria, Egitto, Cipro e Rodi.
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"Racconti dalla Terra Santa" è una rubrica settimanale a cura di Daniele Cavalli, giornalista bergamasco del CMC da due anni a Gerusalemme. Immagini, colori, parole e suoni per conoscere ed ammirare la Terra Santa in un tempo in cui non è ancora possibile raggiungerla liberamente.