Nuovi orfani o riconfigurazioni della “famiglia” nella migrazione?
di / Andrea Pendezzini
La giurisprudenza definisce minore straniero non accompagnato (MSNA) “il minorenne non avente cittadinanza italiana o dell'Unione europea che si trova per qualsiasi causa nel territorio dello Stato o che altrimenti sottoposto alla giurisdizione italiana, privo di assistenza e di rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell'ordinamento italiano”.
Il/la MSNA deve essere collocato in luogo sicuro ai sensi dell’art 403 del Codice Civile.
La prima accoglienza è assicurata in centri attivati dal Ministero dell’Interno, gestiti da quest’ultimo anche in convenzione con gli enti locali, mentre la seconda accoglienza è prevista nell’ambito della rete SAI (Sistema di Accoglienza e Integrazione), ex SPRAR/SIPROIMI, e finanziata con il Fondo Nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo. Essa ha l’obiettivo di fornire al/alla minore gli strumenti per raggiungere la propria indipendenza lavorativa, sociale e culturale.
La permanenza dei minori in questi progetti è garantita fino al compimento della maggiore età, con la possibilità di ulteriori proroghe concesse per completare il percorso di integrazione avviato. I MNSA che sono anche richiedenti asilo sono ospitati fino alla definizione della loro domanda e, nel caso di riconoscimento della protezione internazionale, restano in accoglienza per il medesimo tempo riservato alla permanenza anche degli altri beneficiari.
Non tutti i MNSA, infatti, sono richiedenti asilo: solo quelli che provengono da paesi nei quali potrebbero essere a rischio di persecuzione e violenza presentano domanda di protezione internazionale (come negli anni ha fatto chi proveniva dai paesi del Corno d’Africa, dell’Afghanistan, della Siria ecc.); per gli altri è comunque prevista l’accoglienza, in quanto minori da tutelare.

Troviamo qui una fondamentale differenza tra i progetti per minori e cittadini stranieri adulti.
Per quanto riguarda quest’ultimi, infatti, tutti coloro che arrivano in Italia (ed in Europa) sono incanalati verso la domanda di protezione internazionale: se essa avrà esito positivo queste persone potranno restare nei progetti di accoglienza SAI, altrimenti perderanno la possibilità di permanere regolarmente sul territorio nazionale.
Nella gestione pratica che le istituzioni fanno dei MNSA sembra, dunque, saltare la categorizzazione tra il cosiddetto “migrante forzato”, vittima di persecuzione e, dunque, legittimato nella sua richiesta di essere accolto e protetto, e “migrante economico”, che furbamente cercherebbe di aggirare le regole della richiesta di protezione internazionale.
Fino a 10-15 anni fa, infatti, era possibile per un cittadino straniero entrare in Italia per “ricerca di lavoro” in base ai numeri previsti dall’annuale “decreto flussi” del governo.
Da oltre un decennio, tuttavia, non è più così e tutti coloro che arrivano sono spinti dentro alla complessa macchina della richiesta di asilo.
Queste regole, tuttavia, presentano un serio limite: sono state prodotte in un preciso periodo storico, la fine della seconda guerra mondiale, quanto ci si trovò a dover gestire milioni di profughi sul territorio europeo.

Il dispositivo codificato allora nella Convenzione di Ginevra, come evidenziano da anni antropologi, sociologi e giuristi, di fatto non è oggi più in grado di includere molti dei motivi per cui le persone emigrano dal proprio paese: conseguenze della crisi climatica ed ambientale, situazioni di violenza e conflitto a bassa soglia, povertà estrema...
Continuare a riprodurre giuridicamente e mediaticamente la dicotomia tra migrazioni economiche e migrazioni forzate, insomma, appare come una precisa scelta politica: quella di non voler accogliere tutte le persone che arrivano alla ricerca di una vita migliore.
Nel mondo dei MNSA, tuttavia, questa distinzione sembra saltare e a Bergamo è attivo da alcuni anni uno di questi progetti, nel quale sono ospitati 24 minori (in strutture sul modello della comunità) e 6
ex minori (in appartamenti per l’autonomia) a cui è stata prorogata l’accoglienza per concludere il loro percorso di inserimento.
I soggetti coinvolti nella gestione sono realtà del territorio con esperienza consolidata: Diakonia, Ruah, Il Pugno Aperto, GenerAzioniFa, Aeper, Istituto Palazzolo.
Le nazionalità più rappresentate sono Egitto, Albania, Marocco, Tunisia, Guinea Bissau, Costa d’Avorio, Gambia e Pakistan. Solo due dei 30 minori accolti sono richiedenti asilo. Come possiamo considerare questi ragazzi? Dei nuovi orfani spinti da guerre, crisi economiche ed ambientali a lasciare la propria terra alla ricerca di una nuova vita?
Gli studi delle scienze sociali ci restituiscono un quadro più complesso, confermato anche da alcuni operatori sociali che lavorano nell’accoglienza dei MSNA a Bergamo con cui abbiamo interloquito.
Certo, in alcuni casi i minori partono da contesti di guerra e violenza estreme, ma in buona parte essi arrivano da paesi relativamente stabili (come Albania ed Egitto che, da soli, coprono oltre la metà della presenza di MNSA a Bergamo).
Cosa li spinge a partire? Un desiderio personale di cambiare vita? Un forte mandato familiare di ordine economico, ma non solo? L’investimento della comunità d’origine per mandare un proprio membro verso contesti dove altri sono già arrivati ed hanno “fatto fortuna”? Questi ed altri motivi si intrecciano nelle biografie e nelle traiettorie di questi ragazzi.
Nei discorsi che abbiamo fatto con alcuni operatori emerge poi un ulteriore elemento di complessità: in certi casi le famiglie di provenienza dei minori sembrano essere vicine, forse addirittura in Italia, ma per vari motivi non in grado di farsi carico dei propri figli; o forse sono nella posizione di desiderare per loro un contesto di crescita che offra più opportunità.

I flussi migratori sono di per sé dei processi che trasformano i legami sociali, familiari ed economici nei contesti di partenza e in quelli di arrivo. In questo scenario le famiglie si aprono, si spezzano, si trasformano.
Mogli e mariti si dividono.
Padri e madri lasciano i propri figli ai nonni (o alla comunità d’origine) e partono: porteranno con sé il peso di questa scelta per tutta la vita.
Altre volte sono i figli a partire o ad essere in qualche modo affidanti a progetti per minori non accompagnati, anche se i genitori stessi non sono così lontani.
Ci sembrano queste vere e proprie riconfigurazioni della “famiglia” determinate da fattori complessi, “di espulsione” e di “attrazione”, da persecuzioni, privazioni, povertà, ed al medesimo tempo dal desiderio di una vita nuova per sé e per i propri figli.
Riconfigurazioni dei legami familiari “nella migrazione”, dunque, profondamente connesse a fattori economici, giuridici, politici, che è necessario conoscere se si vuole comprendere qualcosa dell’incontro- scontro con l’“Altro”, che oggi sempre più ci racconta e ci rivela chi siamo “noi”.
Babel – Bergamo Città dei Mille Mondi è la rivista semestrale gratuita delle Acli di Bergamo, nata all'interno del laboratorio di Molte Fedi per offrire alla cittadinanza uno strumento per conoscere e comprendere le trasformazioni della nostra città