SBIRCIARE LA BELLEZZA
di Rosella Ferrari
Sbirciare è un termine da bambini: sono loro che, curiosi, aprono piano una porta (un’anta, un coperchio, un cassetto...) per scoprire cosa c’è dietro. E di solito trovano tesori, perché tutto per i bambini può essere un tesoro davanti al quale sostare, gli occhi pieni di ammirazione. Noi ora imitiamo i bambini: apriamo piano delle porte, sbirciamo all’interno e scopriamo dei tesori. Magari conosciuti, magari no. Forse soffermandoci ammirati su qualche particolare che non può sfuggire, perché è bellezza.
La porta che apriamo oggi, per poter “sbirciare”, è quella della Chiesa di San Michele al Pozzo Bianco, in Città Alta. Una chiesa antichissima, già documentata in epoca longobarda. Chi ci entra per la prima volta rimane senza fiato, e non solo perché dalle dimensioni dell’androne d’ingresso si sarebbe aspettato una chiesa più piccola, ma anche per il fascino dell’architettura di questa chiesa e delle moltissime immagini a fresco che spiccano sui muri. E pensate che sono immagini che vanno dal XII al XVI secolo.
Cercando il nostro tesoro di oggi ci avviciniamo alla cappella di sinistra, affrescata – nella parte superiore – da Lorenzo Lotto, nel 1525, con le storie della vita di Maria, e ci soffermiamo davanti alla lunetta che ne racconta la nascita.
Diamo uno sguardo d’insieme alla scena, che è una scena famigliare, ambientata in una casa bergamasca del ‘500: è la modalità che Lotto sceglie per farci capire che gli avvenimenti che ci racconta non sono avvenuti in epoche lontanissime da noi, ma che ci riguardano ancora oggi, perché sono la nostra storia, la nostra vicenda.
La scena, come accadeva sempre in occasione di un parto, è tutta la femminile e ci mostra otto donne di ogni età, dalla neonata alla vecchia seduta sul gradino dell’alcova.
E proprio questa vecchia signora è il nostro obiettivo di oggi: il nostro “tesoro” da scoprire.
Esclusa Anna, che ha appena partorito e aspetta con ansia che la levatrice le porti la sua bambina, tanto attesa, le donne sono affaccendate: le due giovani accanto al letto porgono alla puerpera il desco da parto, con del cibo che possa aiutarla a riprendersi, un’altra giovane, senza perdere di vista la bambina, si allontana, forse portando con se la biancheria da lavare. Al centro la levatrice sostiene con gesto sicuro la neonata, mentre una donna più giovane – e impacciata – cerca di avvolgerla dentro uno scialle a righe oro e avorio.
Tutta la scena trasuda serenità, una serenità che nasce, sicuramente, dal sollievo per un parto che si presentava difficile, soprattutto per l’età avanzata di Anna, e che invece ha avuto un esito buono: la bimba è nata, è sana e mamma e figlia stanno entrambe bene.
A sinistra, in posizione defilata, quasi non volesse farsi vedere, la nostra vecchia signora, col capo chino, seduta ai piedi dell’alcova, arrotola le fasce che serviranno, ancora per molto tempo, alla bimba, perché sia sostenuta, perché “cresca dritta”, come dicevano ancora le nostre nonne.
E sono fasce che conosciamo, che molti di noi ricordano: erano fatte di tessuto sostenuto ma morbido, di solito di “piquet”, spesso erano il recupero di vecchi copriletti un po’ consunti, che però avevano strisce ancora buone, adatte per le fasce che, spesso, erano date in dote alle giovani spose come regalo beneaugurante. La maestria di Lorenzo Lotto e il suo amore per il “vero” lo porta a riprodurre il bordo decorato a uncinetto di queste fasce… un piccolo capolavoro nel capolavoro.

Mentre le altre donne hanno atteggiamenti di relazione tra di loro, la nostra signora è isolata, sola: impegnata nel suo compito semplice non alza nemmeno lo sguardo: non c’è compito, qui, per lei, se non quello di arrotolare le fasce.
Eppure lei è lì.
E io penso che la vecchia signora sia la levatrice in pensione, quella che per anni e anni ha aiutato a nascere i bambini di Nazareth, quella che ha trasmesso, negli anni, il suo sapere a una donna più giovane, forse la sua stessa figlia (come accadevo spesso) che ora è la levatrice “ufficiale”, mentre a lei non si rivolge più nessuno. E’ vecchia, forse non vede più così bene, forse le tremano un po’ le mani, forse non ha più abbastanza forza… E così si è messa da parte, lasciando il posto a chi ha tutte le qualità che a lei ora mancano.
Eppure, lei è lì.
Perché questo parto è davvero speciale, è davvero importante e prezioso. E deve andare bene, tutto deve andare bene, per la mamma e la piccola che deve nascere.
E così, io penso che la levatrice le abbia chiesto di affiancarla, di essere presente, di essere di supporto, con la sua lunga esperienza.
E così, io penso che questa vecchia levatrice sia quella che ha seguito Anna in tutti gli anni nei quali una gravidanza non arrivava mai, e ogni volta era un dolore che si rinnovava. Che a lei Anna abbia chiesto, negli anni, perché il Signore non mandasse un figlio anche a lei, come a tutte le altre donne, come alla sua ancella che, forte del suo ventre gonfio di vita, la scherniva con crudeltà.
E così io penso che sarebbe corsa in quella casa anche se non l’avessero chiamata, a costo di rimanere fuori dalla porta, o su uno sgabello… perché non voleva perdersi la gioia di una nascita inattesa, orami insperata. E così io penso che questa donna e la neonata con gli occhietti rivolti al cielo siano il passato e il presente; siano il crepuscolo dell’Antico Testamento e l’alba di quello nuovo; siano la sintesi e il compiersi di tutte le donne di ogni luogo e di ogni tempo.
E’ proprio a questa vecchia levatrice che va, ogni volta, il mio ultimo sguardo, quando esco da questa chiesa. Alla donna dal volto chino, dalle mani stanche, che piega fasce ancora e ancora. Che non chiede visibilità e nemmeno un “grazie”, perché le basta essere lì e poter dare una mano. Perché tutto sia pronto, sempre.