Il prete della chiesa dei poveri

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Romano Prodi
Gennaio 2022
@Jesus


Proponiamo in anteprima la postfazione che Romano Prodi firma in Il canto dei poveri dà ritmo al mio passo, il libro intervista con don Giovanni Nicolini, curato da Daniele Rocchetti e pubblicato nella collana "StoriaStorie" de I libri di molte fedi.

Le pagine ripercorrono dalla sua viva voce le esperienze che don Nicolini ha vissuto da protagonista nella storia della Chiesa italiana del Dopoguerra.

Questa gradevole e diretta chiacchierata di don Giovanni ci pone di fronte a un percorso di vita facilmente leggibile ma, nello stesso tempo, del tutto particolare.
La sostanza delle parole è facile da interpretare perché la sua missione ha sempre avuto una sintesi molto semplice: mettersi costantemente a servizio dei più poveri ed emarginati in qualsiasi situazione essi si presentino.
Prima nella periferia più trascurata di Roma, quindi nella comunità di Sammartini e poi a Bologna dove, per molti anni, ha unito l’impegno pastorale nella parrocchia della Dozza ad una completa disponibilità nei confronti dei carcerati e dei degenti dell’Ospedale di Sant’Orsola.

Una continuità quindi nel suo impegno pastorale nei confronti di chi ne aveva bisogno, unito alla costante capacità di creare intorno a sé una comunità di persone capace di condividerne i valori e di rendersi disponibile a metterli in pratica, sia nell’opera di evangelizzazione, sia nella vicinanza alle persone più fragili e nell’organizzazione degli strumenti di apprendimento per coloro che ne erano rimasti privi.
Accanto a questa continuità nel servire le più estreme esigenze della comunità troviamo il suo impegno intellettuale e un’attiva collaborazione con alcune persone che hanno particolarmente contribuito ad approfondire i complessi rapporti fra la Chiesa italiana e le così rapide trasformazioni della nostra società.

Gli anni dell’Università Cattolica, la partecipata analisi dei dibattiti conciliari, la vicinanza a don Milani, a Lercaro e, soprattutto, a Dossetti, non si limitano a fornire uno straordinario supporto intellettuale a don Giovanni, ma sono uno strumento utilizzato per dare maggiore profondità e significato alla sua attività nella sua comunità, nella parrocchia, nella Caritas, nella prigione e nell’ospedale.
I problemi della vita, della morte e di quanto ci aspetta dopo la morte sono affrontati in un quadro culturalmente raffinato, ma sono stati tradotti in una appassionata azione collettiva e comunitaria.
Una sintesi che si percepisce in modo particolare nella vita della parrocchia della periferia di Bologna dove si era creata una virtuosa contaminazione fra gli abituali parrocchiani e gli affezionati amici che don Giovanni aveva col tempo raccolto attorno a sé.

In tutte queste occasioni di incontri, proprio perché incoraggiato dalle sue esperienze personali, don Giovanni ha in fondo anticipato i
tempi, ponendo la povertà e la protezione dei più deboli come una delle missioni fondamentali del rinnovamento della Chiesa.
La stessa anticipazione che è stata riservata al problema dell’immigrazione, vista già con qualche decennio di anticipo come una delle sfide più complesse e difficili che la nostra società avrebbe dovuto affrontare.
La sua profonda partecipazione alla vita della Chiesa non gli ha tuttavia impedito di esprimere un profondo dissenso nei confronti
dell’involuzione compiuta rispetto alle grandi promesse del Concilio, involuzione che ha determinato l’abbandono dell’afflato assembleare sopraffatto dal “clima curiale".