I lunedì d'arte di Molte Fedi

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SBIRCIARE LA BELLEZZA 
di Rosella Ferrari

Sbirciare è un termine da bambini: sono loro che, curiosi, aprono piano una porta (un’anta, un coperchio, un cassetto...) per scoprire cosa c’è dietro. E di solito trovano tesori, perché tutto per i bambini può essere un tesoro davanti al quale sostare, gli occhi pieni di ammirazione.

Noi ora imitiamo i bambini: apriamo piano delle porte, sbirciamo all’interno e scopriamo dei tesori. Magari conosciuti, magari no. Forse soffermandoci ammirati su qualche particolare che non può sfuggire, perché è bellezza.


NON OLTRE!

Oggi usciamo dalla Città Alta attraverso la Porta di S. Agostino, cioè quella dalla quale passavano i Podestà e i Capitani della Repubblica di Venezia – col loro seguito - per entrare a Bergamo: la porta di rappresentanza, quella più elegante.

Scendiamo, e invece di imboccare la via Pignolo prendiamo la scaletta a sinistra, che tutti i bergamaschi conoscono come “la Noca”, che si pronuncia con l’accento acuto sulla “o”: Nóca. Dopo il primo tratto arriviamo all’imbocco del tracciato a scaletta, indicato da una serie di paracarri che impediscono (dovrebbero) l’accesso ai motocicli.

Questa antica, piacevolissima scaletta dagli ampi gradoni collega la Città Alta al Borgo di Santa Caterina ed è presente in molte mappe antiche precedenti la costruzione delle mura veneziane, dove è indicata col termine Nauca. Nonostante le varie ipotesi succedutesi nel tempo, gli studiosi non sono ancora riusciti a scoprire l’etimologia di questo termine, ma ai bergamaschi non importa molto: questa è la Noca. Punto.


Delimitata da alti muri che delimitano quel luogo magico e antico che sono gli “orti” di questa zona, la scaletta della Noca regala, grazie alla sua posizione defilata rispetto alle strade carrabili, una passeggiata silenziosa. Chi la percorre ha un po’ la sensazione di trovarsi fuori dal tempo: io non mi sorprenderei per nulla, se dovessi incrociare una persona vestita come usava secoli fa, perché qui non “stonerebbe” per nulla!

Percorriamo lentamente la scaletta, magari fermandoci ogni tanto a godere dei profumi della natura, ad ascoltare lo stormire delle foglie e il canto degli uccellini, abituati alla presenza non pericolosa degli umani.

Ed eccoci in vista della fine della scaletta.


Davanti a o noi si apre la piazza che prende nome dalla Pinacoteca Carrara (che i bergamaschi continuano a chiamare Accademia per la presenza della scuola d’arte). Ed è qui che scopriamo il nostro “tesoro” di oggi. Sulla destra di chi scende, a livello del selciato, sul muro di casa Piccinelli, intravediamo una lapide e ci avviciniamo per vederla meglio.

Si tratta di una “colonnetta” (così è citata nei testi) che potremmo definire di confine. Costruita in arenaria, la sua forma richiama un po’ i disegni della case fatti dai bambini: un quadrato per il corpo e un triangolo per il tetto. E’ molto deteriorata, tanto che, purtroppo, abbiamo perso per sempre i rilievi che ne caratterizzavano la parte centrale e che disegnavano, di fatto, una mappa topografica.


Nello spazio inferiore spicca una forma a cartiglio che reca, poco visibili purtroppo, due parole in latino: NON LATIUS, cioè non oltre.
Sono proprio queste due parole che ci permettono di capire il significato e lo scopo di questa colonnetta.

Per farlo dobbiamo tornare indietro nel tempo, per la precisione al 1561, quando la Repubblica di Venezia, della quale Bergamo era parte, decise la costruzione di un’imponente cinta muraria attorno alla città, che al tempo era solo l’attuale Città Alta.


Il progetto era davvero importante ma presto i bergamaschi si accorsero che avrebbe portato con se molte sofferenze. L’architetto Sforza Pallavicino, infatti, aveva previsto attorno alle mura un ampio spazio vuoto: praticamente un anello di terreno libero largo “mille passi”. Questo comportò da subito, soprattutto nelle zone considerate più a rischio di incursioni nemiche, la distruzione di alcune chiese (tra le quali l’antica cattedrale di Bergamo intitolata a S. Alessandro martire), di centinaia di case e cascine ma anche dei campi coltivati e dei vigneti e oliveti che coprivano le colline attorno alla città.

Dicono le cronache che in autunno, quando l’uva era pronta per essere raccolta, i bergamaschi implorarono più volte i governanti di consentire loro di vendemmiare, inutilmente. Dovettero così assistere impotenti alla distruzione di vigne piene di grappoli maturi. Se pensiamo che l’anno precedente Bergamo era stata colpita dal maltempo che aveva causato una pesante carestia, possiamo immaginare il dolore dei contadini, ma anche la rabbia che montava tra la popolazione per questi comportamenti che possiamo definire inaccettabili.


Io sono convinta che fu anche il sentore di questa rabbia a spingere il Doge e il Senato della Repubblica ad accogliere la richiesta che quattro notabili di Bergamo, in rappresentanza di tutta la cittadinanza, avevano portato loro. In sostanza, chiedevano accoratamente, illustrando la situazione di disperazione di tanti bergamaschi rimasti senza casa, di limitare la zona protetta attorno alle mura – dove le demolizioni non erano ancora state effettuate - a “soli” 50 piedi, invece dei mille previsti nel progetto.

Carta alla mano, vennero effettuate le misurazioni necessarie e lungo il nuovo perimetro così ottenuto vennero posizionate le colonnette che indicavano l’inizio della zona protetta: da lì non si poteva andare oltre. NON LATIUS, appunto. Se lo scopo della scritta, per i Veneziani, era quello di delimitare la zona dove era impedita ogni costruzione, per i bergamaschi rappresentò da subito la sicurezza che da lì in poi nessuna casa sarebbe più stata demolita, nessun terreno requisito, nessun raccolto distrutto.


Non sappiamo dove fossero posizionate le altre colonnette, delle quali non rimane traccia alcuna. Questa “della Noca” è probabilmente l’unica superstite, testimone di un’epoca difficile e dolorosa che avrebbe poi portato alla città una cinta muraria davvero imponente, che da poco è stata inserita, con altre che facevano parte del sistema difensivo terrestre della Serenissima, nella lista dei siti UNESCO considerati “patrimonio dell’umanità”.

Sono certissima che d’ora in poi, quando percorrerete, in salita o in discesa, la Noca, non mancherete di fermarvi davanti alla colonnetta, che fa parte davvero della nostra storia.      

 

Grazie di cuore a “Bergamasca.net” per aver gentilmente autorizzato l’utilizzo delle fotografie.