Spuntini libreschi

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26 gennaio 2022
di Adriano Marconi

Libri da guardare, libri fatti di sguardi dell’autore, libri che ci aiutano a guardare.
Il testo può (quasi) non esserci, è al servizio dell’immagine oppure arricchirsi con il contributo dell’immagine stessa.
Un altro modo di “leggere” per conoscere e capire, un altro modo di “leggere” per immaginare.

 

Ne scelgo tre da proporre, diversi fra di loro, ma accomunati dall’importanza delle immagini e dello sguardo.

Complice la mia passione per il mondo ebraico, comincio con:

Emanuele Luzzati - Testi di Vincenza Maugeri e Caterina Quareni
I Colori del tempo - Otto scene di vita ebraica.
Marietti 1820, 2021, pagine 96


Emanuele (Lele) Luzzati, (Genova, 1921 - 2007), noto scenografo e illustratore, era di origini ebraiche e per questo motivo nel 1940 la sua famiglia fu costretta ad emigrare in Svizzera fino al 1945. Per il resto della sua vita Luzzati visse a Genova, nella casa in cui era nato.
Nella sua lunga carriera realizzò scenografie, più volte premiate, per numerose opere teatrali (prosa, operetta, opera lirica) e per le più importanti compagnie teatrali del tempo.
Di Luzzati Giorgio Strehler ha scritto: “Di fronte alle sue scenografie si ha quasi sempre l'impressione di finire mani, piedi e pensieri dentro un sogno”.

Famose anche le illustrazioni dei libri di alcuni autori italiani (poi diventate anche cartoni animati), tra cui Gianni Rodari; suoi i disegni per Un rabbi che amava i banchetti, di Enzo Bianchi e per la Haggadah di Pesach (il racconto della Pasqua ebraica) edita da La Giuntina.

Luzzati si definiva un “ebreo non religioso” ma “attento alle tradizioni tramandate in famiglia di generazione in generazione”.
Il suo “sentire” riguardo alla religione è ben rappresentato da queste parole:

“Ogni religione, ogni popolo ha qualche cosa da raccontare e da dare agli altri. La vita e il mondo funzionano finché c'è scambio, se rimaniamo chiusi nel nostro mondo siamo destinati a finire. Forse una volta si era obbligati ad essere chiusi perché ci obbligavano, non volevano che avessimo contatti con gli altri, ma oggi che possiamo, dobbiamo dare qualche cosa della nostra religione e saggezza. E prendiamo anche dagli altri.”.
In effetti la sua attenzione al mondo ebraico fu costante ed è testimoniata da numerose opere, alcune delle quali approntate per la sinagoga di Genova.
Tra le altre, anche le otto opere presentate e commentate in questo piccolo libro, opere conservate al Museo Ebraico di Bologna, fra quelle di più grandi dimensioni realizzate da Luzzati, e oggetto anche di una mostra.
“Con il suo tratto inconfondibile, arricchito dalla lezione di Chagall e Picasso e dalla lunga esperienza nel mondo del teatro e dell'illustrazione, Emanuele Luzzati riassume in otto scene i luoghi fondamentali della vita ebraica e alcune delle principali festività religiose. La sinagoga - dove gli ebrei si riuniscono per pregare, studiare e discutere -, la scuola e il cimitero disegnano "i colori del tempo" e prendono forma accanto alla celebrazione del matrimonio, a Rosh-ha-shanà, il Capodanno ebraico, a Sukkoth, la festa della capanne - che rievoca i quarant'anni trascorsi dal popolo di Israele nel deserto dopo la fuga dall'Egitto -, al Seder di Pesach, la Pasqua, e a Channukkà, la festa delle luci.” (tratto dalla presentazione della mostra e del libro).

26 gennaio 2022
di Adriano Marconi

 

Libri da guardare, libri fatti di sguardi dell’autore, libri che ci aiutano a guardare.
Il testo può (quasi) non esserci, è al servizio dell’immagine, oppure può arricchirsi con il contributo dell’immagine stessa.
Un altro modo di “leggere” per conoscere e capire, un altro modo di “leggere” per immaginare.

 

Ne scelgo tre da proporre, diversi fra di loro, ma accomunati dall’importanza delle immagini e dello sguardo.

Complice la mia passione per il mondo ebraico, comincio con:

Emanuele Luzzati
I Colori del tempo - Otto scene di vita ebraica
Testi di Vincenza Maugeri e Caterina Quareni
Marietti 1820, 2021, pagine 96

 


Emanuele (Lele) Luzzati (Genova, 1921 - 2007), noto scenografo e illustratore, era di origini ebraiche e per questo motivo nel 1940 la sua famiglia fu costretta ad emigrare in Svizzera fino al 1945. Per il resto della sua vita Luzzati visse a Genova, nella casa in cui era nato.

Nella sua lunga carriera realizzò scenografie, più volte premiate, per numerose opere teatrali (prosa, operetta, opera lirica) e per le più importanti compagnie teatrali del tempo.
Di Luzzati Giorgio Strehler ha scritto:
“Di fronte alle sue scenografie si ha quasi sempre l'impressione di finire mani, piedi e pensieri dentro un sogno”.
Famose anche le illustrazioni dei libri di alcuni autori italiani (poi diventate anche cartoni animati), tra cui Gianni Rodari; suoi i disegni per Un rabbi che amava i banchetti di Enzo Bianchi e per la Haggadah di Pesach (il racconto della Pasqua ebraica) edita da La Giuntina.

Luzzati si definiva un “ebreo non religioso” ma “attento alle tradizioni tramandate in famiglia di generazione in generazione”. Il suo “sentire” riguardo alla religione è ben rappresentato da queste parole:
“Ogni religione, ogni popolo ha qualche cosa da raccontare e da dare agli altri. La vita e il mondo funzionano finché c'è scambio, se rimaniamo chiusi nel nostro mondo siamo destinati a finire. Forse una volta si era obbligati ad essere chiusi perché ci obbligavano, non volevano che avessimo contatti con gli altri, ma oggi che possiamo, dobbiamo dare qualche cosa della nostra religione e saggezza. E prendiamo anche dagli altri.”.

In effetti la sua attenzione al mondo ebraico fu costante ed è testimoniata da numerose opere, alcune delle quali approntate per la sinagoga di Genova.

Tra le altre, anche le otto opere presentate e commentate in questo piccolo libro, opere conservate al Museo Ebraico di Bologna, fra quelle di più grandi dimensioni realizzate da Luzzati, e oggetto anche di una mostra.

“Con il suo tratto inconfondibile, arricchito dalla lezione di Chagall e Picasso e dalla lunga esperienza nel mondo del teatro e dell'illustrazione, Emanuele Luzzati riassume in otto scene i luoghi fondamentali della vita ebraica e alcune delle principali festività religiose. La sinagoga - dove gli ebrei si riuniscono per pregare, studiare e discutere -, la scuola e il cimitero disegnano "i colori del tempo" e prendono forma accanto alla celebrazione del matrimonio, a Rosh-ha-shanà, il Capodanno ebraico, a Sukkoth, la festa della capanne - che rievoca i quarant'anni trascorsi dal popolo di Israele nel deserto dopo la fuga dall'Egitto -, al Seder di Pesach, la Pasqua, e a Channukkà, la festa delle luci.” (tratto dalla presentazione della mostra e del libro).

Un poetico omaggio alla vita quotidiana del suo popolo, con uno sguardo allo stesso tempo leggero e profondo, ironico e saggio, ma sempre gioioso e quasi “fiabesco”.

Altri sguardi, diversi, fatti per “perdersi” nella natura, nel paesaggio e… nelle nuvole, si trovano in un libro in cui l’autore raccoglie 123 suoi acquerelli ed in cui il testo è quasi assente:

Nicola Magrin

Altri voli con le nuvole

Salani, 2021, pagine 256


Nicola Magrin (Milano, 1978), dopo il diploma all'Accademia di Belle Arti di Brera ed un soggiorno in qualità di “artista in residenza” a New York, ha iniziato a disegnare illustrazioni per le copertine e le opere di autori quali Primo Levi, Jack London, Robert Macfarlane, Tiziano Terzani, Folco Terzani. Grande amante di cani e di montagne, vive tra Monza, dove ha l'atelier in cui lavora, e una baita in Valmalenco.

In una intervista, alla domanda: “Facciamo che un giorno ci reincarneremo in altro da noi: cosa sceglie, Nicola Magrin?”, risponde: Per la stazza direi un orso. Per il carattere, un lupo. Mi ci vedo: vecchio e solitario, sotto un cirmolo, a guardare l’acqua che scorre. Non quella che va a valle, ma quella che arriva dal monte”.

E così descrive il suo modo di dipingere: “Ho sempre amato crearmi i colori in modo autonomo e personale. Quelle che chiamo le “mie brodaglie”, ossia un miscuglio di acquerelli della Windsor & Newton, degli inchiostri della Waterman e dei pigmenti naturali. Le preparo direttamente in tre ciotole. Accanto ad esse c’è sempre un secchio grande di acqua fresca che continuo a cambiare. Quasi una sorta di rituale monacale. Intingo poi il mio pennello cinese e lavoro direttamente sulla carta. Non c’è alcuno schizzo o matita preparatoria, ma la leggerezza e la serenità di un procedere veloce e istintivo. Come se fosse una “meditazione zen pittorica”.

Lavorando in modo così veloce, con un pennello anche molto grande, dove le linee sottili vengono date dal movimento del polso come nella calligrafia cinese o giapponese, gioco continuamente con l’imprevisto. Può capitare, ad esempio, che la chiazza sia più carica di acqua e svolti sulla carta in una direzione diversa da quella desiderata. Io non me ne preoccupo e in modo istintivo e veloce — come un animale nel bosco che fiuta un odore nuovo — trasformo la chiazza in qualche cosa di inaspettato, che spesso mi sorprende. Un inciampo che si trasforma in una magia, in una nuova opportunità.”

Nicola Magrin ha illustrato anche le copertine dei romanzi di Paolo Cognetti (nel frattempo sono diventati amici e compagni di viaggio) che, a proposito di questo libro, scrive:
“Aspettavo da anni questo libro di Nicola, che qui esordisce come autore. È un libro poetico e avventuroso, è fatto con l’acqua e parla della ricerca delle proprie sorgenti. Una scoperta per i suoi nuovi lettori e un regalo per noi che già lo amiamo, e lo seguiamo incantati in questo grande viaggio”.

Amicizia, Anima, Avventura, Radici.

Sono le parole che appaiono nella prima pagina, per il resto bianca, del libro; a suggerire quali sono i temi che si intrecciano negli acquerelli e nella vita dell’autore.
Per quanto riguarda poi l’impostazione del volume, le scelte editoriali sono ben descritte da Magrin stesso: 

“Fin dall’inizio mi sono immaginato il libro come un haiku giapponese dove la parola abbraccia l’immagine acquarellata dando vita a un intreccio in cui l’immagine la puoi leggere e la parola la puoi osservare come se fosse un’incisione, un ideogramma sulla parte bianca della carta.

Sì, ci sono molti momenti di silenzio, aspetto che corrisponde alla mia natura. Con la casa editrice abbiamo deciso di avere sempre la parte pittorica sulla pagina destra, mentre la pagina sinistra accoglie il vuoto, il bianco o il testo del mio racconto.
Un bianco che corrisponde a quel respiro che ci permette di immergerci nell’immagine seguente con il cuore e lo sguardo sgombro da interferenze.”

Infine i disegni: montagne, boschi, nevi, cieli stellati, tramonti, ma anche lupi, salmoni, anche amici con cui camminare.

“Per Nicola Magrin ritornare alla natura significa ritornare a se stessi, abbandonarsi, dissolversi e infine riprendere forma con lei, dar senso così alla libertà.
I suoi paesaggi da personali diventano universali, come universali sono i temi che accomunano parole e immagini di questa bellissima opera illustrata: il viaggio, l’avventura, la solitudine, la wilderness, gli amici sono la linfa di una vita, un’inesauribile tavolozza per i colori dell’anima.
Un racconto pittorico in 123 stupefacenti acquerelli, un viaggio spirituale iniziatico.

«Lassù immerso nei boschi di abeti, cirmoli e larici o al caldo della stufa non vivo sicuramente nessuna pretesa di eremitaggio, piuttosto la volontà di dialogare e di entrare in risonanza con la natura»
.” (dalla quarta di copertina).

Ancora sguardi, questa volta da una finestra.

Sì, perché Matteo Pericoli da tempo disegna ciò che vede (o che altri vedono) da una finestra.

Matteo Pericoli (Milano, 1968) è architetto, illustratore e insegnante.
Dopo la laurea al Politecnico di Milano si trasferisce per lavoro a New York. Ora vive a Torino dove è Visiting Professor presso la Facoltà di Architettura del Politecnico. A Torino ha fondato il Laboratorio di Architettura Letteraria, un corso nel quale l’architettura e il disegno vengono utilizzati come strumento per analizzare ed esplorare la narrativa.

I suoi disegni sono pubblicati su riviste e giornali italiani e stranieri.

Da alcuni anni presta penna (e occhi) allo sguardo di altri. Nascono in questo modo libri come Finestre sul mondo. 50 scrittori, 50 vedute (EDT,2015) e Finestre su New York. 63 visioni della Grande mela (Il Saggiatore, 2019).

Allo stesso modo è costruito il terzo libro che voglio segnalare:

Matteo Pericoli
Finestre sull’altrove. 
60 vedute per 60 rifugiati
Il Saggiatore, 2021, pagine 155 (traduzioni di Giulia Poerio)


Nel volume sono raccolti, nella pagina di destra, 60 disegni di Matteo Pericoli: disegni realizzati con una penna nera e un tratto sottilissimo che rappresentano la vista da una delle finestre delle attuali abitazioni di rifugiati e rifugiate in varie parti del mondo (disegni realizzati a partire da alcune fotografie).

Il disegno è accompagnato, nella pagina di sinistra, da un testo che ogni rifugiato o rifugiata ha scritto a partire dal disegno stesso.

Da segnalare che il libro è frutto di un progetto, sfociato anche in una mostra, ideato nel 2018 con la collaborazione di Art for Amnesty e di Amnesty International, e proseguito durante il lockdown per la pandemia.

Naturalmente il testo non può limitarsi alla descrizione di un paesaggio; quello che si vede dalla finestra rimanda necessariamente ad altro. Non possono essere dimenticate altre finestre ed altre viste.

Perché, come scritto nel risvolto di copertina:
Quando si fugge, si fugge sempre altrove: verso altri paesaggi, altri odori, altri rumori; verso una sicurezza che è assieme anche una sensazione di precarietà. Altrove è il luogo verso cui si muovono i migranti del mondo e quello in cui spera di trovare riparo chi è in cerca di asilo da guerre e persecuzioni. Altrove è un luogo a metà tra il passato e il futuro, tra il dolore e la serenità, tra la speranza e la nostalgia.

E le storie raccontate diventano in qualche modo un viaggio alle radici dell’animo umano. In questo senso trovo il libro molto coinvolgente.

Lo dice molto bene Matteo Pericoli stesso:

“Una finestra è un oggetto fisico, ma la vista dalla stessa non lo è. Guardare fuori da una finestra non significa solamente guardare un paesaggio, significa anche riflettere verso l’interno, su se stessi e sul proprio viaggio di vita, ripercorrendo i passi che ci hanno portato a trovarci in quello specifico punto dello spazio e del tempo.”

Quasi tutte le storie raccontate sono storie di vite difficili e tragiche, come possono esserlo le vite di chi è costretto ad abbandonare tutto e fuggire dalla propria casa per salvarsi e ricominciare altrove. Ma tutte o quasi contengono segni di ricominciamento e di speranza.

A partire dalle piccole cose. Anche di questo è segno, forse, il fatto che uno dei motivi per cui Wu’er KaiXi tiene le sbarre alle finestre del suo appartamento di Taipei è per come il sole proietta le ombre sulle tende.” (dall’introduzione di Colum McCann).