Il lazzaretto di Bergamo: la cella 65

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SBIRCIARE LA BELLEZZA                                
di Rosella Ferrari


Riprendono i nostri appuntamenti alla scoperta di luoghi o particolari che magari non conosciamo benissimo. La nostra splendida città ne è ricca e scoprirli è sempre un piacere e un’emozione. Quindi ripartiamo alla ricerca di “tesori”, più o meno nascosti, attraverso i quali potremo magari riscoprire pezzi della nostra storia.

E succederà anche che, davanti a un particolare, magari piccolo, ci rendiamo conto di essere davanti alla bellezza…



CELLA 65

Per scoprire il tesoro di oggi dobbiamo uscire dal centro di Bergamo e spostarci verso la zona che oggi chiamiamo Monterosso.

Ci fermiamo vicino allo stadio e ci avviciniamo al Lazzaretto che è proprio lì accanto. Si tratta di un vero e proprio tesoro, di una struttura che è stata importantissima per la nostra città e che meriterebbe di essere conosciuta meglio.

Entriamo dal portone e ci guardiamo in giro. Ci troviamo dentro un grande quadrilatero di 130 metri per 129, con due ingressi contrapposti e con un portico che corre tutt’intorno, sostenuto da una serie di 146 colonne. È proprio sul portico che si affacciano le celle: una cella ogni due campate.

Ma prima di arrivare al tesoro di oggi, cerchiamo di scoprire un po’ di storia.

Nel 1504 la Repubblica di Venezia decide di identificare a Bergamo (che faceva parte della Serenissima Repubblica di Venezia dalla Pace di Ferrara del 1428) un luogo isolato nel quale costruire una struttura dove potessero essere ospitati (rinchiusi…) gli ammalati di peste. Stiamo parlando del “lazzaretto”, il cui nome deriva da Nazareth: nel XV secolo, sull’isola veneziana di Santa Maria di Nazareth venne infatti costruito un luogo di quarantena che prese il nome popolare di “nazzaretto”. Successivamente il nome mutò in “lazzaretto” dal nome di Lazzaro, l’uomo pieno di piaghe citato nel Vangelo.

Nel 1465 si iniziò ad acquistare i terreni necessari e il 7 maggio 1504 le Autorità e i preti della città e dei borghi si recarono, seguiti dalla popolazione, nella zona scelta per la costruzione, della quale il Podestà pose la prima pietra. Costruito su progetto di Giovanni da Serina, che si ispirò al recente lazzaretto di Milano, prevedendo un quadrilatero di celle che affacciavano su un portico interno continuo costituito da archi a tutto sesto su colonne in pietra.


Ampliato nel 1576, in occasione della peste (giugno 1576 - dicembre 1578), è composto da 84 celle disposte lungo il portico che cinge il grande spazio interno (ampio più di 16 pertiche), al centro del quale era stata costruita una cappella dove potevano essere celebrate le funzioni religiose. Naturalmente la cappella era intitolata ai due Santi protettori contro la peste, Rocco e Sebastiano; ed è importante notare che la disposizione delle celle permetteva che da ciascuna si potesse avere la visione della cappella, che venne distrutta nel 1868.

Descritta la struttura, vediamo ora come erano fatte le celle, che si affacciano sul portico attraverso due piccole aperture, una finestra e una porticina.
Ogni cella era costituita da una stanza abbastanza ampia con un camino, un acquaio in arenaria e due nicchie: una formava una specie di armadio a muro, l’altra ospitava un gabinetto (con feritoia per il ricambio dell’aria) che scaricava direttamente nel corso d’acqua che cingeva il lazzaretto. Sulla parete di fondo una finestra permetteva, con quella che si apriva sul portico, una buona ventilazione.


Nel corso degli anni, quando sembrava che la peste non sarebbe mai più tornata, il lazzaretto venne adibito a diversi utilizzi, finché a partire dal 1968 la città decise di provvedere ad una ristrutturazione e al recupero della struttura, che poté così ospitare diverse realtà, soprattutto del volontariato.

Trent’anni dopo, in un articolo su L’Eco di Bergamo Paolo Aresi riflette sul fatto che 

Fino a dieci anni fa il Lazzaretto di Bergamo era l’unico a possedere ancora integre alcune celle originali, così come erano state concepite al principio del 1500. Il fatto è che al Lazzaretto tutte le associazioni insediatesi nelle antiche celle hanno sistemato a loro modo, con buona volontà, ma senza un coordinamento, senza criteri filologici comuni. Così sono state effettuate aperture, squadrature, sostituzione di intonaci, di pavimenti, sono spariti acquai, camini, mensole.”

Bene, siamo arrivati al nostro tesoro di oggi: la cella n. 65.

Recentemente il Comune ha provveduto al completo restauro e ripristino di questa cella del lazzaretto, che è stata affidata alla Fondazione Bergamo nella Storia perché rimanga nel tempo a memoria di periodi terribili.
Riportata alle condizioni iniziali, la cella 65 ospita oggi un’installazione video che, attraverso una proiezione multimediale, racconta non solo l’arrivo e la diffusione della peste del 1630, ma anche i tentativi dei medici del tempo di trovare rimedi, sia per difendersi dal contagio che per curare gli appestati, oltre alle modalità per la sepoltura dei morti. Ricordiamo che quella terribile epidemia causò la morte di oltre 9500 persone nella città e di oltre 47.000 nella provincia. Un tuffo nel passato, in un passato che oggi sentiamo molto più vicino…

A detta di molti storici, il lazzaretto di Bergamo, sebbene di dimensioni più ridotte, era tecnologicamente più avanzato di quello coevo di Milano; il nostro, inoltre, è stato conservato integralmente nella sua struttura, mentre dell’altro si sono salvate solo 5 celle. E oggi, visitando la cella 65, ciascuno di noi ha la possibilità di veder rivivere questo luogo.