«Molte fedi», la rassegna ora conquista i giovani

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Martino Rovetta
13 Dicembre 2021
@L'Eco di Bergamo

«L’essere è più del dire – siamo d’accordo. Ma non dire è talvolta anche non essere». Così scriveva il poeta Giovanni Giudici nella sua «Finis fabulae» (1965).

Due versi che rappresentano un degno epilogo della 14ª edizione di «Molte Fedi sotto lo stesso cielo», la rassegna culturale delle Acli di Bergamo che quest’anno ha avuto come orizzonte di partenza un altro verso, tratto da un componimento di Mariangela Gualtieri scritto per la comunità di Bose: «Diremo io o noi?».

«Al termine di un’edizione – dicono gli organizzatori – si fa largo legittima, imperterrita, e talvolta scomoda, una questione: che cosa resta di 80 appuntamenti e tre mesi di rassegna? Le risposte possono essere molteplici, senza alcun tipo di ansia da prestazione.

I numeri infatti hanno il loro valore, così come le visualizzazioni, e lo stesso vale per l’eredità concettuale che ogni evento lascia per forza e inaspettatamente dietro di sé.

Ma riavvolgiamo il nastro.

Ai blocchi di partenza un interrogativo intrigante, lasciato volutamente aperto: Diremo io o noi? Una domanda senza troppe pretese, ma con l’ambizione di tener legate le anime vivaci e curiose di una manifestazione che vuole fare della convivialità delle differenze il proprio leit motif.

Come ricorda Giudici, dopo tanto dire, oggi forse è il tempo dell’essere.

 

Martino Rovetta
13 dicembre 2021
@L'Eco di Bergamo

«L’essere è più del dire – siamo d’accordo. Ma non dire è talvolta anche non essere». Così scriveva il poeta Giovanni Giudici nella sua «Finis fabulae» (1965).

Due versi che rappresentano un degno epilogo della 14ª edizione di «Molte Fedi sotto lo stesso cielo», la rassegna culturale delle Acli di Bergamo che quest’anno ha avuto come orizzonte di partenza un altro verso, tratto da un componimento di Mariangela Gualtieri scritto per la comunità di Bose: «Diremo io o noi?».

Al termine di un’edizione – dicono gli organizzatori – si fa largo legittima, imperterrita, e talvolta scomoda, una questione: che cosa resta di 80 appuntamenti e tre mesi di rassegna? Le risposte possono essere molteplici, senza alcun tipo di ansia da prestazione.

I numeri infatti hanno il loro valore, così come le visualizzazioni, e lo stesso vale per l’eredità concettuale che ogni evento lascia per forza e inaspettatamente dietro di sé.

Ma riavvolgiamo il nastro.

Ai blocchi di partenza un interrogativo intrigante, lasciato volutamente aperto: Diremo io o noi? Una domanda senza troppe pretese, ma con l’ambizione di tener legate le anime vivaci e curiose di una manifestazione che vuole fare della convivialità delle differenze il proprio leit motif.

Come ricorda Giudici, dopo tanto dire, oggi forse è il tempo dell’essere.