SBIRCIARE LA BELLEZZA
di Rosella Ferrari
Sbirciare è un termine da bambini: sono loro che, curiosi, aprono piano una porta (un’anta, un coperchio, un cassetto...) per scoprire cosa c’è dietro. E di solito trovano tesori, perché tutto per i bambini può essere un tesoro davanti al quale sostare, gli occhi pieni di ammirazione.
Noi ora imitiamo i bambini: apriamo piano delle porte, sbirciamo all’interno e scopriamo dei tesori. Magari conosciuti, magari no. Forse soffermandoci ammirati su qualche particolare che non può sfuggire, perché è bellezza.
FILETTO!
Questa settimana parliamo di un gioco. Per la precisione, come recita il titolo, parliamo del filetto.
Che, in realtà, ha anche moltissimi altri nomi: qualcuno lo chiama tris, i cinesi luk tsuk k’i, gli inglesi noughts and crosses, gli americani tic tac toe, e così via.
Chiarito che si gioca in tutto il mondo e che se ne organizzano tornei, diciamo anche che è un gioco antichissimo: già nel 1400 a.C. si giocava in Egitto e più tardi verrà citato anche da Ovidio e Marziale. Sembra incredibile, ma ci sono schemi per il filetto incisi perfino sulle sedute delle panche nelle cattedrali medievali, dove forse i monaci cercavano di svagarsi dalle (troppo lunghe) orazioni…
I giocatori “seri” avevano una scacchiera apposita e 6 pedine, tre per colore, perché a filetto si gioca in due.
Gli altri invece, soprattutto i bambini e i ragazzini a scuola, si accontentavano e si ingegnavano senza troppe storie: bastava un gessetto per disegnare lo schema in terra, una matita per farlo su un foglio di carta, un bastoncino per tracciarlo sulla terra; le pedine, poi, erano davvero semplici da recuperare: tre sassolini ciascuno (o tre noccioli di pesca, tre palline di carta stagnola di quella che avvolge i cioccolati per la merenda o palline di carta).
Scopo del gioco? Fare tris, o filetto, cioè mettere in fila le proprie tre pedine, in orizzontale, in verticale o i diagonale. Sembra facile…ma l’avversario farà di tutto per bloccare il filetto e così le partite potevano durare davvero per molto tempo.
E ora? Beh, ora andiamo a cercare un filetto, da qualche parte in Città Alta: è una specie di caccia al tesoro.
Siamo in Piazza Mercato del Fieno e da lì ci spostiamo verso l’ex convento francescano, che nel tempo ha avuto diversi usi e oggi è la sede del “Museo delle Storie”, oltre che affascinante sede espositiva per mostre che riguardano la nostra città.

E lasciatemi divagare un pochino, dai… Perché questo convento venne fondato nel XIII secolo dai seguaci di Francesco d’Assisi, che erano già a Bergamo, quando le famiglie ricche della zona donarono loro dei terreni e una piccola chiesa. Inoltre, sostennero economicamente la costruzione del convento e della (magnifica e ahimè perduta) chiesa aperta anche alla popolazione.
I monaci rimasero qui per secoli e da qui passò anche Bernardino da Siena, il grande pacificatore. Rimasero qui, molto apprezzati dalla popolazione, fino all’arrivo dei francesi, a fine 1700. Questi requisirono tutte le proprietà dei monaci e della Chiesa, con la sola esclusione delle chiese parrocchiali e degli oratori privati.
Provate a immaginare com’è fatto un convento: spazi comuni per la preghiera e le attività condivise, piccole celle singole per ogni monaco. I francesi, come aveva già fatto nelle loro terre, trasformarono i conventi in carceri senza alcuna fatica. Dopo alcuni cambi d’uso, il convento rimase abbandonato per un po’ di anni finché, intorno al 1930, il Comune di Bergamo lo acquisì e lo modificò per farci una scuola elementare. La mia scuola… Successivamente, quando il numero dei bambini residenti divenne troppo esiguo per giustificare la presenza in città alta di due scuole elementari, venne concesso in uso all’Università e, in parte, al Museo Storico.
Oggi è la sede del Museo delle storie di Bergamo, composto anche dagli spazi per le esposizioni, dalla biblioteca e dagli Uffici.
Ma il filetto?
Usciamo dal portone del Convento e imbocchiamo la via che sale sulla sinistra, via Solata. Proseguiamo pochi metri, costeggiando il muro in mattoni, e guardiamo bene a terra.

Arrivati alla fine della costruzione, trovate un muretto, sempre in mattoni. Fuochino…
Guardate bene, ora. Troverete, incisi nelle pietre del marciapiede, ben due schemi di filetto!

Questo è il primo: anche se non è completo (il muretto venne costruito successivamente) si vede bene la struttura e capiamo anche perché questi schemi vengono chiamati da chi li studia ”triplice cinta”.

Questo è il secondo: qui le linee orizzontali e verticali interne si sono perdute, rimangono però ben evidenti le diagonali, il che consente comunque di giocare.
Noi ci giocavamo, da bambini, uscendo da scuola, e molte generazioni di bambini ci hanno certo giocato prima di noi. Oggi quasi nessuno li nota, ma io ogni volta che passo di qui mi fermo a guardarli, perché mi commuove sempre vedere queste tracce di un tempo passato, quando bastavano delle linee in terra e dei sassi per passare ore a giocare…